Come si lavora nelle centrali eoliche più grandi del mondo
I posti di lavoro nel settore dell’energia eolica sono in aumento: in alcuni casi, non è un lavoro per deboli di cuore
SOLAR è la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica. Io sono Anna Violato, giornalista ambientale di RADAR, e ogni due settimane vi parlo di un modo in cui possiamo già ridurre le nostre emissioni di gas serra.
Soffrite di vertigini? Allora non vi raccomando lo stesso mestiere di Bridie Salmon. Salmon ha 25 anni e lavora come tecnica per la manutenzione delle turbine eoliche al largo delle coste del Regno Unito, uno dei paesi che produce più energia da eolico offshore (in mare). Ha iniziato con un apprendistato 3 anni fa, senza avere alcuna esperienza nel settore. “Ogni giorno mi sveglio alle 5; lasciamo il porto alle 6 e navighiamo in direzione del parco eolico, dove passiamo la giornata a fare assistenza, risolvere i problemi, fare manutenzione e manutenzione preventiva”, spiega Salmon in un’intervista a Renew Economy.
Secondo Project Drawdown, che fa ricerca sulle soluzioni per ridurre le emissioni, puntare sull’energia eolica potrebbe evitare grandi quantità di emissioni che causano il cambiamento climatico. Portando dal 4% al 27% la percentuale di elettricità generata da eolico entro il 2050, eviteremmo la produzione di circa 145 gigatonnellate di CO2.
Un rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile e dell'Organizzazione Internazionale per il Lavoro calcola che tra il 2012 e il 2021 il settore dell'energia eolica abbia creato 1,25 milioni di posti di lavoro, con un ritmo in crescita. Il rapporto stima che nel 2050, in uno scenario in cui abbiamo ridotto drasticamente le emissioni, il settore dell'energia eolica potrebbe impiegare globalmente circa 5 milioni di persone.
Uno dei paesi che sta puntando di più sull’energia eolica è il Regno Unito: nel 2023 ha stabilito un nuovo record, arrivando a produrre circa il 30% della sua elettricità dal vento.
Al largo delle coste britanniche, nelle acque burrascose del Mare del Nord, ci sono alcuni dei parchi offshore più grandi del mondo. Il più grande è Hornsea: con le sue 339 turbine, attualmente genera energia sufficiente per coprire i fabbisogni di circa 1 milione e mezzo di famiglie. È gestito dall’azienda danese Ørsted, che negli ultimi due decenni ha portato avanti una decisa politica di superamento dei combustibili fossili e oggi produce il 93% della sua energia da fonti rinnovabili. L’azienda ha in programma di espandere il parco di Hornsea, aggiungendo altre due “ali” di turbine che raddoppieranno la capacità di generazione di energia. E assumendo altra manodopera locale, come nel caso di Bridie Salmon, che ha iniziato il suo apprendistato qui: Grimsby, la cittadina costiera che fa da base ai lavoratori della centrale, è in una zona depressa del paese, in cui i proventi tradizionali della pesca ormai sono scarsi.
Dalla costa, l’impatto visivo di questa enorme centrale è scarso: dal momento che le turbine si trovano a 120 km al largo della costa, sono a malapena visibili. Per ridurre quello ambientale - e in particolare ripercussioni negative sugli animali - al progetto della centrale è stato affiancato quello per la costruzione di siti di nidificazione per gli uccelli marini.
Per un impianto che generi costantemente energia, c’è bisogno di un luogo costantemente ventoso. Ciò significa che oltre a non poter soffrire di vertigini, chi lavora alle turbine offshore ha bisogno anche di uno stomaco di ferro. “Ricordo un giorno in cui c’era molto vento. Eravamo lassù e la cima della torre si muoveva. In quei casi già hai il mal di mare, e poi anche la cima della torre si muove. Così, per tutto il giorno, si dondola: e anche quando sono tornata a terra continuavo a dondolare”, racconta Salmon.
Ma come si trasforma il vento in elettricità? Il vento fa girare le pale attorno a un albero all’interno della turbina, che a sua volta fa girare un generatore. L’energia prodotta viene poi portata a 100 metri sotto la superficie dell’acqua con cavi, che continuano interrati nel fondale marino, si collegano a stazioni in mare e infine a una centrale elettrica sulla terraferma. Qui l’elettricità viene trasferita nelle case e nelle aziende.
A terra, poi, si trova la stazione in cui lavora chi monitora i dati meteo satellitari per prevedere la quantità di energia che verrà prodotta nei giorni successivi, il che è fondamentale per capire come gestire la rete elettrica.
Stephen Fisher, 33 anni, è un tecnico specializzato che lavora alla manutenzione delle turbine del London Array; un altro parco eolico britannico, a trenta chilometri al largo della foce del Tamigi, che prima di Hornsea deteneva il record mondiale di grandezza.
In una giornata tipica in cui è sul campo a fare manutenzione, dopo aver compilato la dovuta burocrazia Fisher passa al magazzino dove raccoglie quello che gli serve per la giornata fuori: l’attrezzatura da scalata, la tuta da immersione (nel caso il tempo sia freddo e ventoso e ci sia il rischio di cadere in acqua passando dalla barca alla turbina) e soprattutto il pranzo. “Dove siamo noi, non possiamo fare un salto in negozio a prendere un panino”, racconta Fisher in un video.
Dopo aver raccolto tutta l’attrezzatura, i tecnici poi si imbarcano verso le turbine. A quel punto, per Fisher inizia la scalata: una scala a pioli lo porta a circa 15 metri di altezza. Da lì, un ascensore lo porta fino alla parte più alta della turbina, a 100 metri di altezza. “La manutenzione funziona un po’ come quella di una macchina”, spiega Fisher. Ci sono filtri da cambiare, parametri da controllare, olio da aggiungere. “A volte bisogna arrampicarsi dentro alle singole pale per fare il cambio dell’olio”.
Per Fisher, la parte peggiore del lavoro però non è la fatica. “Sfortunatamente all’interno di queste turbine eoliche non c’è il bagno: quindi se ti scappa devi rifarti tutta la strada in discesa fino alla barca, e poi ritornare su a finire la manutenzione. Può essere piuttosto stancante”.
Per chi invece lavora alla manutenzione delle turbine eoliche a terra (o onshore), nonostante i protocolli di sicurezza siano estremamente rigidi a volte possono presentarsi pericoli imprevisti. Jessica Kilroy, appassionata di arrampicata che ora lavora come tecnica delle turbine eoliche negli Stati Uniti, racconta che nell’estate del 2016 era in cima a una turbina quando lei i suoi colleghi hanno visto un incendio avvicinarsi all’orizzonte. “Siamo fuggiti in fretta e quando ci siamo allontanati ho scattato una foto dal finestrino: la turbina eolica era avvolta dall'incendio”.
Le condizioni meteo avverse sono un problema anche a terra: essendo spesso la costruzione più alta in luoghi remoti, le turbine eoliche sono il bersaglio ideale per i fulmini. Anche se le turbine sono dotate di dispositivi antifulmine, a volte le pale possono comunque riportare dei danni. Anche l’esposizione continua alle intemperie - ghiaccio, pioggia, vento e temporali - fa sì che la riparazione delle pale a volte sia necessaria. “Bisogna evitare che le pale si rompano, motivo per cui le ripariamo il prima possibile”, spiega Kilroy. “Di solito il punto in cui una pala eolica è stata colpita da un fulmine si nota perché ha l’aspetto di una macchia scura. Lo puliamo con una smerigliatrice per capire quanto il danno è diffuso o profondo, e poi ripariamo il rivestimento in fibra di vetro. È un lavoro molto simile a riparare una tavola da surf, solo che sono sospesa a 100 metri di altezza”.
Anche nel Mediterraneo, le opportunità future per un lavoro nel settore eolico aumenteranno: se finora i parchi eolici in Italia sono stati soprattutto a terra, ci sono più di 130 parchi eolici offshore in fase di progetto.
Per Stephen Fisher, tecnico del London Array, lavorare nel settore delle rinnovabili “è la migliore scelta di carriera che si possa fare. Le rinnovabili saranno anche più rilevanti in futuro: trovare adesso un lavoro in questo settore significa sistemarsi a vita. Che cosa c’è di meglio di arrampicarsi su una turbina eolica tutti i giorni?”
E a te piacerebbe riparare turbine eoliche? Scrivicelo nei commenti.
Leggi anche:
Dove si fa la scienza del clima: lavorare alla stazione atmosferica di Finokalia (RADAR Magazine)
Fonti rinnovabili e opportunità di lavoro (Avvenire)
To get off fossil fuels, America is going to need a lot more electricians (Grist)
SOLAR è una newsletter di RADAR Magazine. È curata da Anna Violato, giornalista ambientale e divulgatrice scientifica, che proprio ci andrebbe a riparare le turbine eoliche ma purtroppo soffre di mal di mare.
I nostri articoli e le newsletter sono gratuite, perché pensiamo che l’informazione di qualità debba essere accessibile a chiunque - non solo a chi se la può permettere. Per aiutarci a rimanere indipendenti e liberi, sostienici con una donazione.