SOLAR è la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica. Io sono Anna Violato, giornalista ambientale di RADAR, e ogni due settimane vi parlo di un modo in cui possiamo già ridurre le nostre emissioni di gas serra.
Tra due settimane inizia la COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima in cui migliaia di delegati dei paesi del mondo si riuniranno a Dubai per definire le azioni per contrastare la crisi climatica.
La conferenza si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre, ma i negoziati che la precedono sono già iniziati e potreste iniziare a sentirne parlare nelle prossime settimane. Per questo oggi SOLAR è un po’ diversa: ho messo assieme una breve guida a cos’è la COP e a cosa ci possiamo aspettare dai negoziati di quest’anno.
Cos’è la COP
COP è un acronimo che sta per Conferenza delle Parti: le “parti” sono i membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il trattato che è stato firmato a Rio de Janeiro nel 1992 (ne parlavamo nella prima uscita di SOLAR). Una COP “storica” è la COP3 del 1997, in cui è stato adottato il Protocollo di Kyoto.
(Piccola nota: la COP sul clima è la più famosa, ma ci sono altre COP per altri trattati dell’ONU, per esempio per la convenzione sulla biodiversità. Se leggete in una notizia che l’anno prossimo ci sarà la COP16 non siete pazzi, è un’altra COP.)
Alle COP, i delegati dei paesi negoziano misure e impegni per ridurre le emissioni e contrastare il cambiamento climatico. L’accordo finale dei negoziati deve essere approvato con il consenso di tutti i partecipanti, non solo con la maggioranza: un fattore che nella storia di queste conferenze ha portato a lunghissime trattative e ad accordi poco ambiziosi.
Da dove partiamo
Negli scorsi anni le COP hanno però avuto dei risultati misurabili. Nel 2015, le politiche globali sulle emissioni rendevano probabile che nel 2100 la temperatura globale sarebbe salita di 3,6 °C. Uno scenario catastrofico. Quello stesso anno, nel documento finale della COP21, cioè il cosiddetto Accordo di Parigi, 196 paesi si impegnarono a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Non che le azioni messe in campo nel frattempo siano davvero state sufficienti per raggiungere l’obiettivo, ma un effetto c’è stato: oggi si stima che con le politiche attuali nel 2100 il mondo sarà 2,6 °C più caldo. Una differenza importante ma ancora troppo, motivo per cui la COP di quest’anno e le prossime saranno cruciali per arrivare ad accordi più stringenti.
Il nodo dei combustibili fossili
Di cosa si discuterà alla COP28? Sicuramente di come accelerare la decarbonizzazione. La crescita delle rinnovabili non dovrebbe trovare grandi oppositori, ma il problema è ancora mandare in pensione petrolio, gas e carbone.
Negli ultimi anni, infatti, uno dei nodi dei negoziati ha riguardato due espressioni: “phase down” (diminuire gradualmente) e “phase out” (eliminare gradualmente). L’oggetto, naturalmente, è l’uso dei combustibili fossili. Due anni fa, dopo dibattiti infuocati è stato raggiunto un accordo annacquato per il “phasedown of unabated coal” (cioè la diminuzione graduale dell’uso di carbone non accompagnato da piani di cattura e stoccaggio del carbonio). E l’anno scorso l’India ha chiesto di ampliare questo obiettivo di diminuzione graduale agli altri combustibili fossili, sostenuta da alcuni, tra cui i paesi UE, e osteggiata da altri. Ci possiamo aspettare che anche quest’anno gran parte del dibattito ruoterà attorno a queste due espressioni.
Influenza e sorveglianza
Quest’anno la COP28 si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Il fatto che gli Emirati siano uno dei cosiddetti petrostati, paesi la cui economia si fonda sull’estrazione di petrolio e gas, ha fatto sollevare più di un sopracciglio. Senza contare che la persona nominata a Presidente della conferenza è Ahmed Al Jaber, CEO della compagnia petrolifera di stato di Abu Dhabi (ADNOC). In un lungo profilo per il Guardian, la giornalista Fiona Harvey scrive che Al Jaber sostiene di voler convincere i governi presenti alla COP a triplicare la capacità di energie rinnovabili nei prossimi anni e di avere l’esperienza giusta per parlare al settore petrolifero. Ma allo stesso tempo, sostiene che l’impatto ambientale dei combustibili fossili possa essere ridotto e che ne avremo ancora bisogno in futuro (è dunque per un phase down e non per il phase out).
La preoccupante influenza delle aziende del petrolio e del gas sui negoziati per il clima è stata svelata nelle ultime settimane da alcune inchieste. AFP per esempio ha scoperto che la compagnia di consulenza McKinsey sta usando la sua posizione di advisor alla COP28 per portare avanti gli interessi dei suoi clienti nel settore petrolio e gas. E da un’inchiesta di Associated Press è emerso che alla COP dell’anno scorso in Egitto molti rappresentanti di compagnie petrolifere hanno partecipato ai negoziati in veste di delegati di paesi, senza dichiarare la loro vera affiliazione.
I giornalisti e gli attivisti che quest’anno andranno a Dubai sono preoccupati anche per il rischio di sorveglianza e repressione da parte delle autorità. Non sono preoccupazioni esagerate. Amnesty International ha scoperto che l’anno scorso la app ufficiale della COP27 (in Egitto, ripetiamo) era sostanzialmente uno spyware che permetteva di avere accesso ad alcune funzioni dei dispositivi su cui veniva installata.

Loss and damage
Un altro nodo della COP di quest’anno sarà probabilmente l’istituzione di un fondo di “loss and damage” (perdite e danni) per i danni causati dal cambiamento climatico nei paesi più poveri, che è già stata discussa e approvata l’anno scorso. Ma non è ancora chiaro come funzionerà questo fondo. La settimana scorsa, durante i negoziati che precedono la COP (e che sono fondamentali perché a queste conferenze in effetti si ottengano dei risultati) è stato raggiunto un primo successo: un progetto per un fondo a cui contribuiranno i paesi più ricchi e che aiuterà quelli più colpiti da effetti del riscaldamento globale come siccità, alluvioni e innalzamento del livello dei mari.
Dovremo aspettare i negoziati per capire come prenderà forma questo fondo, fondamentale per affrontare gli effetti già qui del cambiamento climatico. Nel frattempo, vi segnalo che Italian Climate Network ha avviato una campagna e una raccolta di firme per sostenere l’attivazione del fondo “loss and damage”: si può partecipare qui.
Ti interessa sapere come andrà la COP28? O hai poca fiducia nei negoziati? Scrivici cosa ne pensi:
Leggi anche:
Speranza, caos e lacrime. Diario di una giornalista malesiana alla COP26 (RADAR Magazine)
Perché serve un fondo loss and damage? Il caso del Pakistan (Italian Climate Network)
La battaglia per smascherare i lobbisti di gas e petrolio alle conferenze sul clima (Wired Italia)
Meet the oil man tasked with saving the planet (The Guardian)
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