Perché dobbiamo preoccuparci per il suolo
L'agricoltura rigenerativa è greenwashing o dà risultati concreti?
SOLAR è la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica. Io sono Anna Violato, giornalista ambientale di RADAR, e ogni due settimane vi parlo di un modo in cui possiamo già ridurre le nostre emissioni di gas serra. La scorsa settimana la newsletter è saltata per piccoli problemi di salute, ma eccoci qui per recuperare.
Si stima che il suolo racchiuda 3000 gigatonnellate di carbonio: circa quattro volte quello contenuto dall’atmosfera e da tutte le piante messe assieme. I terricci di tutto il mondo, compresi tutti gli esseri viventi che ci vivono dentro, hanno un’importanza enorme per noi, ma anche per la regolazione del clima globale. Se infatti tendiamo a preoccuparci della salute del suolo per le ripercussioni sulla produttività dei nostri campi - senza suoli fertili, addio rese agricole che ci garantiscono cibo a buon mercato - in realtà dovremmo occuparcene anche per il ruolo che hanno nel cambiamento climatico.
Con la fotosintesi, le piante assorbono carbonio dall’atmosfera per costruire le loro cellule. (Ve la ricordate, la formula della fotosintesi clorofilliana?) Quando muoiono, una parte di questo carbonio viene rilasciato nell’atmosfera - con la digestione degli organismi decompositori - ma una parte rimane stoccata nel suolo, protetta in profondità per quelli che possono essere anche secoli o millenni.
Oggi, una fetta sorprendentemente alta di emissioni di gas serra è dovuta ai modi in cui stiamo intaccando questo enorme serbatoio di carbonio nel terreno. Il più importante è l’agricoltura: a seconda delle pratiche agricole con cui sono gestiti i terreni coltivati, infatti, il carbonio può essere sequestrato nel suolo e nella biomassa, oppure esserne rilasciato se il terreno è degradato. I modi in cui l’agricoltura può degradare il suolo - spesso in modo graduale e difficile da misurare - sono diversi: erosione, perdita di biodiversità, esaurimento dei nutrienti e della materia organica, ma anche la salinizzazione (solo per fare alcuni esempi).
Si stima che i terreni agricoli, a causa della loro degradazione, emettano circa l’1,4% dei gas serra globali (Cropland nel grafico sotto). Per fare un confronto, l’intero settore della navigazione ammonta a circa l’1,7%.
A questo si vanno ad aggiungere le emissioni da altre pratiche agricole legate al suolo, come l’uso di fertilizzanti di sintesi, che nell’interazione con il suolo generano un potente gas serra responsabile di un’altra fetta importante delle emissioni, il 4,1% (Agricultural soils nel grafico): più di aviazione e navigazione messe assieme).

È possibile fermare queste fonti di emissioni, e invertire il flusso di carbonio per riportarlo dall’atmosfera al suolo? È la promessa dell’agricoltura rigenerativa, un modello di coltivazione che invece di cercare di limitare l’impatto ambientale ha l’obiettivo di rigenerare il suolo, migliorando la sua salute. Rigenerare il suolo significa anche ripristinare il suo contenuto di carbonio: motivo per cui questa pratica agricola è considerata una strategia utile per combattere il cambiamento climatico.
A differenza dell’agricoltura biologica - che oggi è un sistema definito con precisione e che deve rispettare leggi e normative - l’agricoltura rigenerativa è però un approccio tutto sommato giovane e ancora fumoso. Un report della Food and Land Use Coalition evidenzia come, analizzando le definizioni di agricoltura rigenerativa usati da 44 aziende e associazioni del settore, se ne ottengano esattamente 44 diverse. Più che un metodo definito è un insieme di pratiche, alcune anche molto antiche, tra cui la rotazione delle colture e la coltivazione di specie diverse nello stesso campo. Questa varietà, però, offre dei vantaggi, perché fornisce un ventaglio di soluzioni da applicare a seconda delle caratteristiche del luogo o della coltura.
Quali sono, dunque, queste pratiche rigenerative? Il report ne individua una dozzina, da quelle di applicazione più semplice come l’uso di ammendanti di origine organica (compost, carbone vegetale, residui agricoli), la riduzione delle arature o l’aggiunta di vegetazione ai margini dei campi. A quelle che prevedono di cambiare radicalmente il modo in cui si organizza la produzione agricola, come l’agroforestazione (in cui le colture sono arricchite con alberi o arbusti), la consociazione di colture (o intercropping, in cui due diverse piante vengono coltivate assieme, in file alternate, nello stesso appezzamento) e la gestione olistica dei pascoli (una gestione meno intensiva dei pascoli tradizionali, che lascia spazio ad alberi e altre piante per crescere).
La Food and Land Use Coalition ha poi analizzato la letteratura scientifica attualmente esistente per trarre delle indicazioni su quali di queste pratiche portano, in effetti, a risultati misurabili nella riduzione delle emissioni di gas serra. “L'agroforestazione, la consociazione di colture, la rotazione delle colture, la riduzione degli input chimici e il pascolo gestito in modo olistico hanno tutti un effetto positivo significativo sulla mitigazione del cambiamento climatico in termini di carbonio organico del suolo e/o di tassi di sequestro del carbonio”, si legge nel rapporto.

Anche per quanto riguarda le rese agricole i risultati sono rilevanti: se uno dei principali ostacoli alla diffusione dell’agricoltura biologica sono le sue rese in genere più basse, le pratiche rigenerative, con la loro attenzione alla fertilità del suolo, sembrano portare in pochi anni a un aumento dei raccolti. Le pratiche più promettenti sono la diversificazione delle colture e l’inoculazione del terreno con funghi e batteri per aumentarne la biodiversità (pratica che, negli studi analizzati, ha determinato un aumento della resa delle colture compreso tra il 19% e il 57%). Imitare la natura, costruendo un ecosistema sano e biodiverso attorno alle specie che vogliamo coltivare, sembra essere la strategia più efficace: non per mitizzare la natura ma perché, semplicemente, funziona. Il cambio di approccio dell’agricoltura rigenerativa è tenere in considerazione la catena alimentare del suolo: gli organismi che ci vivono dentro - microbici o meno - hanno bisogno di aria, acqua e di una miriade di componenti diversi. Una diversità che i cocktail preconfezionati di diserbanti e fertilizzanti di sintesi faticano a soddisfare a lungo.
Senza un approccio che tenga conto dei reali risultati, le pratiche rigenerative rischiano di essere poco più che greenwashing. Come mette in evidenza Il Fatto Alimentare: “Per questo, di per sé, non hanno molto significato iniziative come quelle di PepsiCo, che intende dedicare alla rigenerazione sette milioni di acri entro il 2030, o quella di Unilever, che ha reso noti i suoi Regenerative Agricolture Principles (con cinque aree prioritarie sulle quali intervenire), oppure quella di Nestlé, che nel 2025 avrà investito un miliardo di euro per implementare pratiche rigenerative tra i suoi fornitori”.
Agire velocemente per ridurre le emissioni è necessario per evitare che il suolo, da alleato, si trasformi in un potente amplificatore del cambiamento climatico. “Con l’aumento delle temperature l’attività dei microrganismi si accelera e i suoli iniziano a emettere nell’atmosfera più CO2”, avvisa l’ecologa del suolo Jennifer L. Soong nel suo contributo in The Climate Book. “L’aumento delle emissioni di carbonio dal suolo potrebbe ribaltare il ciclo naturale del carbonio innescando un feedback positivo: il riscaldamento aumenterebbe le emissioni di CO2 del suolo, le quali accrescerebbero ulteriormente il riscaldamento globale, che aumenterebbe ancora di più a sua volta le emissioni di CO2 nel suolo e così via”.
Alle latitudini più fredde questo circolo vizioso è particolarmente preoccupante. Il freddo costante consente a grandi quantità di carbonio di venire stoccate nel suolo, perché i resti di animali e piante si congelano prima di potersi decomporre e rimangono accumulati nel permafrost. Ma se, come sta avvenendo ora, le temperature globali aumentano abbastanza da portare il disgelo in queste zone, enormi quantità di gas serra (metano e anidride carbonica) entrano nell’atmosfera, alimentando ancora una volta il circolo vizioso.

Stimare cosa potrebbe succedere se questo circolo vizioso dovesse innescarsi è complicato, ma l’innalzamento delle temperature che ne seguirebbe sarebbe potenzialmente disastroso: anche per questo ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, in tutti i settori, è fondamentale. Le pratiche agricole rigenerativa sono uno dei tanti modi per farlo: coltivare meglio, restituendo la vita e la biodiversità ai suoli, facendo crescere piante dalle radici profonde e protette, aiuterà a riportare un po’ di carbonio da sopra le nostre teste a sotto i nostri piedi.
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