Al riparo dal caldo e dal freddo
Per proteggere gli abitanti dagli effetti del cambiamento climatico, alcune città aprono rifugi climatici
SOLAR è la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica. Io sono Anna Violato, giornalista ambientale di RADAR, e ogni due settimane vi parlo di un modo in cui possiamo già ridurre le nostre emissioni di gas serra.
Da qualche anno, ogni estate europea sembra essere un’estate di record per le temperature: ondate di calore che si allungano, temperature massime mai registrate che si alzano, temperature medie mensili che aumentano. Lo fu per esempio l’estate del 2019: in Spagna, un paese in cui le estati normali sono già sfidanti, si sfondarono i record delle massime in molte città. Anche se da allora il paese è passato per altre stagioni estreme - le ultime due, in particolare - quei mesi furono diversi almeno per un fattore: perché motivarono un cambiamento in una di quelle città stravolte da settimane roventi.
A Barcellona, infatti, l’estate torrida del 2019 spinse l’amministrazione comunale a sperimentare una nuova misura di adattamento agli effetti del cambiamento climatico: i rifugi climatici. Cosa siano è facilmente intuibile dal nome: i rifugi climatici sono spazi pubblici in cui ripararsi quando fa molto caldo, ma anche quando fa molto freddo. Possono essere aree verdi all’aperto o spazi chiusi con l’aria condizionata (e il riscaldamento). L’obiettivo è che siano a disposizione soprattutto delle persone che ne hanno più bisogno, cioè quelle che soffrono di più per il disagio termico: anziani, bambini, persone con malattie croniche.
Se non ne avete mai sentito parlare è perché quello dei rifugi climatici (climate shelters, in inglese) è un concetto ancora molto poco diffuso. A livello globale le sperimentazioni sono ancora pochissime. In Italia se ne sta iniziando a parlare a Udine, dove l’assessora all’ambiente ha annunciato di volerne realizzare tre in aree aperte. A Bologna, sono stati una delle proposte avanzate dall’Assemblea cittadina per il clima, un gruppo (sorteggiato) di abitanti della città che è stato convocato dal Comune per contribuire alle strategie locali per affrontare la crisi climatica.
Ma torniamo a Barcellona. Negli ultimi quattro anni, l’amministrazione della città catalana ha attivato una rete dipiù di 200 rifugi climatici. Non sono nuovi spazi o edifici costruiti apposta, ma strutture già per lo più presenti in città, che sono state adattate o arricchite per svolgere anche questa nuova funzione. Biblioteche, centri sportivi, spazi civici di quartiere, parchi pubblici, musei. E soprattutto centri per anziani, dal momento che con l’età avanzata aumentano anche i rischi con il troppo caldo e il troppo freddo. Tra gli spazi che sono stati adattati a diventare rifugi climatici ci sono anche alcune scuole, in particolare i cortili. Per far fronte alle nuove necessità sono stati aggiunti alberi e piante, fontanelle e tettoie per aumentare i ripari all’ombra.
Riadattare spazi preesistenti ha aiutato la città di Barcellona ad agire in fretta (e con minore dispendio di risorse), ma significa anche che ogni spazio ha le sue caratteristiche in termini di orari di apertura, servizi disponibili, preparazione dello staff. Alcuni rifugi, in particolare i parchi e le aree verdi, sono attrezzati solo per l’attività estiva durante le ondate di calore. In tutti gli spazi, però, c’è attenzione all’accessibilità - e tutti sono, naturalmente, gratuiti.
Oggi il Comune di Barcellona calcola che il 97% della sua popolazione abbia a disposizione un rifugio climatico a non più di 10 minuti a piedi da casa.
Ma questi spazi aiutano davvero gli abitanti della città ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico? Se lo sono chieste le autrici di uno studio pubblicato sulla rivista Landscape and Urban Planning, che hanno analizzato l’efficacia dei rifugi climatici di Barcellona coinvolgendo gli abitanti del quartiere La Prosperitat.
La Prosperitat è un quartiere nel distretto periferico di Nou Barris. È una delle zone della città considerate più vulnerabili al cambiamento climatico, come lo sono spesso i quartieri poveri e multietnici: i redditi bassi, l’assenza di aree verdi e gli edifici datati rendono gli abitanti più esposti alle temperature estreme. A causa dei costi dell’energia e dello scarso isolamento termico, molte persone non riescono a mantenere una temperatura confortevole nelle proprie case, che sia d’inverno o d’estate: un problema che colpisce di più gli anziani, le donne, gli abitanti immigrati in città dai paesi del sud globale. In breve, i più poveri.
Il quartiere di La Prosperitat è un caso studio emblematico di questo problema: un quarto dei residenti proviene dall’estero (soprattutto da paesi a medio e basso reddito) e la percentuale di anziani che vivono da soli è molto alta (il 55% rispetto al 44% medio della città). La zona ha un problema storico di carenza di servizi: sorto all’inizio del ‘900 come insediamento informale di immigrati dal nord del paese, soffre ancora oggi della mancanza di aree verdi e di spazi culturali.
Per le autrici dello studio, considerare questi aspetti è fondamentale. “La tendenza storica e discriminatoria si sovrappone a un generale scarso accesso ai sistemi di regolazione climatica e al ruolo che le differenze sociali giocano nella risposta alle condizioni climatiche estreme”, spiegano. Da questionari e interviste con centinaia di abitanti, hanno calcolato che un terzo degli abitanti soffra spesso per il troppo caldo in casa e un quarto per il troppo freddo. Ma la maggior parte (85%) non era a conoscenza della disponibilità di rifugi climatici in città.
Senza un piano per arrivare a chi ne ha più bisogno e capire le barriere che ostacolano l’accesso a queste strutture, l’investimento nei rifugi climatici rischia di non raggiungere gli effetti sperati. Lo studio ha poi coinvolto gli abitanti del quartiere in un’attività di citizen science per progettare un rifugio climatico che effettivamente andrebbe incontro ai propri bisogni. L’identikit - anche nell’immagine qui sotto - è quella di un luogo aperto e naturale, con acqua e piante, in cui poter passare del tempo in attività sociali e culturali con le altre persone.
Se la rete dei rifugi climatici di Barcellona potrebbe non essere ancora efficace nell’arrivare ai cittadini che ne hanno più bisogno, lo studio suggerisce che è probabile che siano i cittadini stessi ad adattare gli spazi che hanno a disposizione alle nuove necessità. Nelle parole di uno dei locali intervistati: “Le persone usano già molti spazi come rifugi climatici, senza sapere che abbiano questa definizione di rifugi. Ma li usano già, certamente. Se volete sapere dove sono i rifugi climatici, vi basta seguire le passeggiate degli yayos (i nonni)”.
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SOLAR è una newsletter di RADAR Magazine. È curata da Anna Violato, giornalista ambientale e divulgatrice scientifica, a cui piacciono moltissimo i panorami con turbine eoliche. Sarà che ricordano i mulini a vento.
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