La newsletter di questa settimana arriva in ritardo, scusate: le temperature di questi giorni mi hanno reso molto difficile lavorare. L’adattamento agli effetti del cambiamento climatico è anche questo: prendersi qualche giorno in più, perché quando fuori il termometro si avvicina ai 40 °C (e in casa supera i 30), mantenere i soliti ritmi diventa complicato.
Forse avrete già visto la mappa qui sopra. Se è ancora complicato collegare con sicurezza alla crisi climatica alcuni eventi estremi, come le alluvioni, per le ondate di calore più frequenti e calde di un tempo non ci sono dubbi: la causa sono le emissioni di gas serra. Ridurre queste emissioni in modo drastico non ci ridarà estati normali all’improvviso, ma eviterà che diventino molto peggio.
Su SOLAR capiamo assieme, settore per settore, quali soluzioni abbiamo già per tagliare le emissioni che causano il cambiamento climatico. Io sono Anna Violato, giornalista della redazione di RADAR Magazine, e oggi vi scrivo da una caldissima Bologna di un tema spinoso e di stagione: l’impatto dei viaggi in aereo.
Comprare un biglietto aereo è un’azione che mi manda in crisi. Da persona che ama viaggiare, vorrei volare più spesso e più lontano. Sopporto volentieri gli scomodissimi sedili e le offerte martellanti sugli aerei RyanAir: senza rovinarmi le finanze, i voli low-cost mi permettono di costruirmi l’identità che vorrei. Quella di una persona curiosa, che vede il mondo, che è a suo agio con culture diverse, anche senza concedersi troppi lussi. Non è un’identità particolarmente originale: le ricerche mostrano che i miei coetanei (le persone tra i 25 e i 35 anni) viaggiano in aereo significativamente più spesso rispetto alle altre generazioni. I social media - con il loro obiettivo di mantenere e ampliare il capitale sociale - hanno contribuito a diffondere l’idea che viaggiare in aereo sia un’attività positiva e desiderabile, e plasmato il profilo identitario del frequent flyer - chi in aereo ci viaggia spesso, ovunque, che sia per lavoro o per turismo.
Da persona che è consapevole delle cause (e degli effetti, in particolare in questi giorni) della crisi climatica, però, non riesco a non sentirmi in colpa ogni volta che compro un biglietto aereo. Si stima che viaggi in aereo solo l’11% della popolazione mondiale, per la maggior parte nei paesi ricchi (come l’Italia). Secondo le stime, l’aviazione mondiale conta per un valore tra il 2 e il 3,5% delle emissioni globali: un valore apparentemente non molto alto, ma che non deriva da necessità. Abbiamo indubbiamente bisogno di un frigorifero e di un impianto di riscaldamento. In molti hanno anche sicuramente bisogno di un mezzo di trasporto di proprietà. E questi apparecchi possono essere alimentati con energia rinnovabile. Ma abbiamo davvero bisogno di viaggiare in aereo? E soprattutto: qual è il nostro impatto quando lo facciamo?
Partiamo dalla prima domanda. Ci aiutano a rispondere alcuni studi che hanno analizzato cosa è successo dopo l’introduzione, in Germania e in Austria, di tasse sui voli: con accise tra i 7 e i 40 euro, a distanza di due anni si è vista una diminuzione del 5% nei voli, in particolare negli aeroporti serviti da compagnie low-cost (in cui a volte il biglietto stesso costava poche decine di euro). Da studi sulla popolazione tedesca, altri esperti evidenziano che per la maggior parte delle persone volare meno o smettere del tutto non è un’opzione accettabile - anche se la maggior parte sarebbe pronta a sostenere politiche per ridurre le emissioni del settore aereo. Insomma: non voglio volare di meno, ma se mi obbligano lo farò. Solo se mi obbligano.
Quando ho cercato di capire che impatto ho io - che in genere viaggio con compagnie low cost, in classe economy, una o due volte l’anno - ho trovato un dato che mi ha fatto fermare e rileggere due volte. Secondo Stefan Gössling, uno dei maggiori esperti mondiali della sostenibilità del turismo, più di metà delle emissioni degli aerei passeggeri sono da attribuire all’1% della popolazione globale. Uno zoccolo duro di passeggeri vola decine di volte l’anno, mentre i passeggeri degli aerei privati sono responsabili di quantità spropositate di emissioni climalteranti. Quanto spropositate? Secondo i calcoli di Gössling, possono arrivare a 7500 tonnellate di CO2 annue: quanto quelle che il cittadino europeo medio emette in 930 anni.
Ho deciso quindi di andare un po’ più a fondo: dovremmo vietare i jet privati, come chiedono tanti gruppi ambientalisti?
Al momento, i jet privati sono davvero il simbolo della disuguaglianza carbonica, cioè del fatto che le persone più ricche del pianeta contribuiscono in modo sproporzionato alle emissioni di gas serra e dunque al cambiamento climatico. Chi è più ricco in genere compra di più, consuma più energia, viaggia di più, mangia più carne. Questo divario è massimo nel caso dei voli in aerei privati.
Secondo un report di Transport&Environment (una federazione di ONG europee che si occupano di trasporti) un viaggio in aereo privato è “senza dubbio l’attività a più alte emissioni che chiunque possa intraprendere”. Si stima che in soltanto un’ora un jet privato emetta due tonnellate di CO2, la quantità che l’europeo medio emette in tre mesi.
Questo per diversi motivi: in Europa, i voli privati sono usati soprattutto per viaggi brevi (meno di 500 km), che sono anche quelli per cui un aeroplano è meno efficiente, dal momento che consuma moltissimo carburante per la partenza e l’atterraggio. Inoltre, il 41% dei voli privati viaggia senza passeggeri a bordo, semplicemente per spostare il velivolo da un luogo all’altro. Quando non viaggiano a vuoto, trasportano in media solo 4,7 passeggeri.
Non che ne possano trasportare molti di più: l’aereo più usato in Europa per i voli privati è il Cessna Citation Excel, lungo 16 metri e che può portare al massimo 8 passeggeri.
Chi viaggia con aerei privati è responsabile di circa il 4% delle emissioni dell’intero settore dell’aviazione, un valore non trascurabile. Questa quota è in carico a un numero ristrettissimo di persone: lo 0,0008% della popolazione globale, la maggioranza del quale vive negli Stati Uniti. Un dato preoccupante, però, è che le persone che decidono di volare con aerei privati sono in aumento: si prevede che nel 2050 le emissioni derivate dall’aviazione privata saranno il doppio di quelle del 2010.
La pandemia, poi, ha accelerato questa crescita: negli ultimi anni, questo settore si è pubblicizzato come “molto più sicuro” degli aerei di linea per riprendere a viaggiare quando i contagi erano ancora numerosi. Dopo la fine dei lockdown, i voli privati sono ripresi prima e molto più velocemente rispetto a quelli commerciali, attirando nuovi clienti.
Nonostante il settore provi a raccontarsi come business aviation, aviazione per affari, le indagini indipendenti mostrano che il picco dei voli privati in Europa avviene d’estate verso località di mare (in particolare nel sud della Francia e in Italia) e verso le località sciistiche di lusso in inverno. Mi viene il dubbio che non siano viaggi di lavoro.
Le dimensioni ridotte e i motori relativamente poco potenti dei jet privati li rendono esenti da molte regolamentazioni: per esempio dall’Emission Trading Scheme dell’Unione europea, il sistema che fissa un prezzo per le emissioni di CO2. Ma anche da alcune norme sulle emissioni di particolato atmosferico.
Ciliegina sulla torta: nella maggior parte dei paesi europei - a eccezione della Svizzera e della Francia - il carburante dei voli privati non è tassato. Per un pieno di benzina di un’auto si pagano più accise che per fare il pieno di un aereo privato. Anche in Francia, l’attuale accisa è minore rispetto a quella della benzina. (Tutto il settore aereo, in realtà, gode di tasse bassissime: ne parliamo tra poco.)
Considerato tutto questo - una situazione che agli occhi di una cittadina media è paradossale - non c’è da stupirsi che le campagne per bloccare o limitare i voli privati stiano fiorendo in tutta Europa. In Italia, per esempio, l’Alleanza Sinistra-Verdi ha avanzato una proposta di legge per vietare i voli privati su tratte brevi e istituire una tassa fissa a passeggero (di 400€ a viaggio).
Secondo Transport&Environment, però, il settore dei jet privati, proprio per i suoi attuali sprechi e iniquità, potrebbe offrire un’opportunità: aiutarci a capire come ridurre le emissioni dell’aviazione e trovare soluzioni meno inquinanti.
Quello dell’aviazione è un ambito particolarmente difficile da decarbonizzare: a differenza di altri ambiti, come le auto e la produzione di energia, non abbiamo tecnologie economiche e pronte per essere applicate su larga scala. In un mercato in cui i soldi che girano sono tanti, però, si potrebbe testare l’efficacia di alcune soluzioni ancora troppo costose per essere usate nell’aviazione commerciale, tra cui i carburanti alternativi come il cosiddetto e-kerosene, un kerosene sintetico prodotto a partire da CO2 catturata dall’atmosfera e idrogeno (che può essere prodotto sostenibilmente).
Gli aerei privati, poi, con le loro dimensioni ridotte sono l’ideale per far partire la produzione di aerei elettrici, una tecnologia ancora poco più che sperimentale.
In ogni caso, secondo molti esperti una soluzione applicabile oggi c’è già: tassare i voli privati, che aiuterebbe anche a raccogliere risorse importanti per finanziare la transizione verso trasporti più sostenibili.
Per raggiungere davvero cifre significative, però, dovremmo includere anche i voli commerciali: si stima che ogni anno i governi europei potrebbero raccogliere più di 34 miliardi di euro applicando una tassazione più alta ai voli e all’uso di carburante. Ma sarebbe equo o diventerebbe una norma che scarica i costi sulle fasce più povere della popolazione? Secondo Milena Buchs e Giulio Mattioli, due ricercatori che hanno studiato la disuguaglianza nei viaggi aerei nel caso studio del Regno Unito, la misura sarebbe giustificata: il cittadino britannico medio fa un solo volo di andata e ritorno all’anno, e la metà della popolazione non vola quasi mai. Negli ultimi anni, sono stati gli strati più agiati della popolazione a contribuire di più alla crescita del settore.
“In questo contesto, affermare che politiche per gestire la domanda di viaggi aerei colpirebbero in modo sproporzionato la popolazione a minore reddito è altamente discutibile”, scrivono i ricercatori, “e potrebbe addirittura riflettere un tentativo di sfruttare le preoccupazioni sulla giustizia sociale per rallentare l’azione per il clima”. La strada che i ricercatori consigliano è di implementare tasse specifiche per i frequent flyers, come proposto - anche in questo caso - da molti gruppi di attivisti per il clima.
Insomma: in mancanza di soluzioni pronte per decarbonizzare l’aviazione, la scelta di maggiore impatto è partire dall’alto, dal nocciolo di veri frequent flyers.
Una tassa, però, non è necessariamente un modo per ridurre le emissioni: può far desistere alcuni dal volare e raccogliere risorse economiche preziose, ma può anche dare la falsa impressione di un “bollino di sostenibilità” sui viaggi aerei. Stiamo comprando il diritto di inquinare, in un settore che secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia non è ancora sulla strada giusta per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica1 nel 2050.
Questa consapevolezza può creare una dissonanza cognitiva, può portarci a negare il problema o a cercare un capro espiatorio. Vi invito a resistere, a provare a vivere questo conflitto. Se per noi il viaggio ha un valore, dobbiamo anche guardare in faccia i problemi che crea - che creiamo. E magari optare più spesso per il treno.
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Airlines hope that sustainable fuels will propel them to a guilt-free future (The Guardian)
SOLAR si prende una pausa per l’estate: ci rivediamo a settembre, ogni due mercoledì (temperature permettendo). Nel frattempo, mangiate tanti ghiaccioli!
Un gioco per le vacanze: il Financial Times ha ideato The Climate Game - Can you reach net zero by 2050?, in cui si gioca nel ruolo di un ipotetico ministro globale delle generazioni future. In tre round, dovete decidere quali politiche globali attuare per ridurre drasticamente le emissioni e mantenere l’aumento della temperatura globale entro il limite di 1,5 °C. Ma ogni azione ha un costo e delle conseguenze: vincere non è facilissimo.
Hai vinto? Cosa ti ha fregato all’ultimo? Mandaci un commento con il tasto qui sotto (o rispondendo a questa email).
La neutralità climatica è una situazione di equilibrio tra le emissioni di gas serra e il loro assorbimento (per esempio con tecnologie di cattura di anidride carbonica o con la salvaguardia di aree naturali). Non è uno zero assoluto di emissioni ma un cosiddetto net zero, zero netto, in cui le emissioni sono abbastanza basse da poter essere compensate.