In Italia, il settore industriale dei combustibili fossili è il primo per danni sociali
Ma sappiamo come ridurli.
SOLAR è la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica. Io sono Anna Violato, giornalista ambientale di RADAR, e ogni due settimane vi parlo di un modo in cui possiamo già ridurre le nostre emissioni di gas serra.
Avete risposto in tantissime/i al sondaggio dell’ultima newsletter: grazie per aver condiviso quello che pensate con me (e con il resto del gruppo!). Alcune cose che porto a casa da questo esperimento:
la maggior parte di noi sente emozioni negative quando pensa alla crisi climatica, ma più di un terzo si sente pronta ad agire o speranzosa per il futuro;
tendiamo a dare la colpa della situazione alla classe politica (al primo posto) e alle aziende di petrolio e gas (al secondo posto);
pensiamo che i più affidabili nel trovare soluzioni siano soprattutto i ricercatori e le ricercatrici;
pensiamo che la crisi climatica debba essere affrontata da chi fa politica, ma anche che tutti debbano fare la loro parte;
una bella fetta di noi (il 40%) non trova abitualmente notizie sulla crisi climatica che parlano anche di soluzioni, oltre che del problema.
Quando parliamo di gas serra e combustibili fossili, spesso i dati sono un po’ astratti: le emissioni del settore dei trasporti, i consumi degli edifici residenziali… È un approccio che deriva soprattutto dal modo in cui vengono raccolti i dati. A volte però capita di avere a disposizione dati più precisi, come in una nuova inchiesta che abbiamo pubblicato da poco su RADAR sui danni alla salute e all’ambiente causati dalle emissioni del settore industriale, condotta in collaborazione con un gruppo di testate da Germania, Polonia e Ungheria. Ma partiamo da una domanda:
La risposta la trovate nell’articolo qui sotto. Il testo completo, con grafici interattivi, è anche su RADAR a questo link (io vi consiglio di leggerlo sul sito per poter navigare i dati nei grafici).
L’industria dei combustibili fossili ci costa più di 12 miliardi in danni per la salute e l’ambiente
In Italia, il settore dei combustibili fossili è il primo per danni sociali: i dati della EEA calcolano l’impatto sulla salute delle persone e sull’ambiente
La centrale elettrica Enel di Torrevaldaliga Nord, a Civitavecchia, è una delle sette centrali a carbone in Italia. Secondo i piani di phase out del carbone contenuti nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), approvato dal governo Conte nel 2020, la centrale di Torrevaldaliga Nord e le altre avrebbero dovuto chiudere nel 2025. Ma con l’invasione russa dell’Ucraina e le incertezze sulle scorte di gas, le mari carboniere sono tornate al porto di Civitavecchia con il ritmo passato. Alimentando, oltre che la produzione di energia, anche la produzione di enormi quantità di inquinanti dell’aria: ossidi di azoto e zolfo, che una volta in atmosfera formano il particolato, ma soprattutto gas serra che causano il cambiamento climatico.
In base alle sue emissioni inquinanti in un anno (il 2017), la centrale di Torrevaldaliga Nord figura come l’impianto industriale italiano che causa maggiori danni alla società. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) ha calcolato che ammontino a più di 1 miliardo di euro l’anno, un calcolo basato sugli anni persi a causa delle morti premature causate dall’inquinamento atmosferico e (per i gas serra) sul costo per l’abbattimento delle emissioni di carbonio.
Ma la centrale di Civitavecchia è in buona compagnia. Nella lista dei primi 200 impianti industriali italiani che causano maggiori danni alla società, secondo la stima della EEA, ci 73 sono centrali termoelettriche. I luoghi sono noti, almeno da chi ci abita vicino: Brindisi, Taranto, Sassari, Fusina. Il secondo settore industriale più impattante ha, di nuovo, a che fare con i combustibili fossili: è quello delle raffinerie di petrolio e gas.
I primi 200 impianti industriali italiani per costi sociali delle emissioni
Per la versione navigabile del grafico (con i dati sui costi) clicca qui.
COME SI CALCOLA L’AMMONTARE DEI DANNI DI UN IMPIANTO INDUSTRIALE
Per stimare l’ammontare dei danni di un impianto industriale i ricercatori della EEA hanno messo a punto una complessa metodologia. Grazie a un modello matematico, si valutano la dispersione e la chimica atmosferica degli inquinanti dell’aria. Ciò consente di capire come gli inquinanti si trasformano nell’atmosfera, e come raggiungono località distanti dal luogo di emissione. I ricercatori combinano poi questi calcoli con la densità di popolazione e altri dati per stimare l’esposizione delle persone agli inquinanti. E con i dati di incidenza di base di alcuni problemi di salute, che vengono aggravati dall’inquinamento atmosferico causato dall’industria, per capire se e come l’incidenza aumenta.
I valori indicati nel grafico qui sopra sono calcolati sulla base degli anni di vita persi a causa di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico (un indicatore detto VOLY). Ciò implica, quindi, assegnare un costo monetario agli impatti sulla salute umana. Nel calcolo finale, sono fattori rilevanti anche l’età della popolazione a rischio e le fasce d’età più colpite da questi inquinanti.
Per calcolare i danni causati dai gas serra, la metodologia è diversa. Si stima il costo di abbattimento delle emissioni di carbonio necessario per rispettare l’Accordo di Parigi, in particolare l’obiettivo di contenere l’aumento del riscaldamento globale entro 1,5 °C rispetto alle temperature preindustriali.
PERCHÉ LE CENTRALI TERMOELETTRICHE HANNO UN IMPATTO SULLA SALUTE COSÌ ALTO
In Italia, la maggior parte dell’energia elettrica è ancora prodotta in centrali termoelettriche che bruciano combustibili fossili. Nel 2022, ne abbiamo prodotto quasi il 47% dalla combustione di gas e il 9% dal carbone.
Le centrali a carbone sono tra le più inquinanti: emettono quantità elevate di ossidi di azoto e zolfo, sostanze che una volta disperse in atmosfera contribuiscono alla formazione del particolato (PM). Proprio il particolato è l’inquinante più importante in termini di potenziali danni alla salute umana. Le particelle fini penetrano nel sistema respiratorio e cardiovascolare e possono causare o aggravare malattie, oltre a provocare tumori.
Il PM primario è quello emesso direttamente nell’atmosfera (dagli impianti industriali, ma anche dai trasporti e dalle caldaie domestiche), mentre il PM secondario deriva da inquinanti precursori quali i composti organici volatili (VOC), il metano (CH4), il monossido di carbonio (CO) e gli ossidi di azoto (NOx, cioè NO e NO2).
Durante il processo di combustione le centrali a carbone rilasciano nell’atmosfera i già citati ossidi di zolfo (SOX), tra cui il biossido di zolfo (SO2) che è uno degli inquinanti più aggressivi e pericolosi perché contribuisce al fenomeno delle piogge acide. Ma elevate concentrazioni di SO2 possono influire anche sulla funzionalità delle vie aeree e infiammare il tratto respiratorio.
Gli ossidi di azoto (NOX) invece contribuiscono all’acidificazione e all’eutrofizzazione delle acque e dei suoli e possono portare alla formazione di particolato e ozono troposferico. Inoltre, elevate concentrazioni di NO2 possono causare infiammazioni delle vie aeree e riduzione della funzionalità polmonare.
Le centrali elettriche che funzionano a gas naturale non producono particolato o biossido di zolfo, ma immettono in atmosfera ossidi di azoto e gas serra, con ripercussioni sul clima globale.
DOVE VENGONO PRODOTTI PIÙ GAS SERRA INDUSTRIALI IN ITALIA
Dal settore industriale oggi derivano circa il 30% delle emissioni globali di gas serra. In Italia i settori più emissivi, dai dati EEA, sono il già citato settore energetico, la produzione del cemento e di acciaio, l’industria chimica, la gestione dei rifiuti (che include anche l’incenerimento) e gli allevamenti, ma anche la lavorazione della carta e del legno.
Per la versione navigabile della mappa clicca qui.
La mappa qui sopra mostra le aree geografiche italiane in cui vengono emessi più gas serra da grandi impianti industriali (non sono incluse le emissioni di metano che derivano dagli allevamenti bovini). I dati provengono dallo European Industrial Emission Portal (della EEA), che monitora le emissioni di inquinanti del settore industriale. La mappa non mostra la totalità delle emissioni, ma solo quelle degli impianti che superano i valori limite definiti dalla EEA. L’ente stima che i siti industriali inclusi in questo database siano responsabili di circa il 20% dell’inquinamento atmosferico in Europa.
COSA PUÒ FARE IL SETTORE INDUSTRIALE PER RIDURRE LE EMISSIONI
Ridurre le emissioni del settore industriale è un problema complesso, per il quale non esiste una soluzione semplice. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, le aziende devono adottare un approccio sistemico e combinare l’impegno per l’efficienza energetica a quello verso la decarbonizzazione, cioè il passaggio da fonti fossili a fonti a basse emissioni.
Per le centrali termoelettriche, i maggiori emettitori, decarbonizzare significa passare alle fonti rinnovabili. E dunque, la chiusura delle centrali e la creazione di parchi fotovoltaici ed eolici, con ricadute positive sulla salute delle persone e sull’ambiente – ma serve un approccio realistico, che tenga conto di come reimpiegare nelle nuove strutture i lavoratori del settore dei combustibili fossili.
Un altro fattore chiave per ridurre le emissioni il miglioramento dell’efficienza produttiva. Negli ultimi decenni l’industria ha ridotto le proprie emissioni di gas serra in tutta Europa, grazie anche a norme più stringenti che hanno imposto significative riduzioni delle emissioni legate ai processi (per esempio, la riduzione di N2O nella produzione di ammoniaca) e al miglioramento dell’efficienza energetica.
Ma senza la diffusione su larga scala di tecnologie net zero, per portare in pari il bilancio tra la quantità di gas a effetto serra rilasciata nell’atmosfera con la quantità rimossa, tagliare drasticamente le emissioni sarà impossibile. La EEA ipotizza che per alcuni processi industriali (come la produzione di cemento), la cattura e lo stoccaggio del carbonio potrebbe rappresentare una parte della soluzione in futuro, anche se per il momento non ci sono ancora esempi su larga scala di queste tecnologie.
NELL’ULTIMO DECENNIO LA SITUAZIONE È…

Questa newsletter si prende una pausa per le festività di fine anno: ci risentiamo a gennaio!
SOLAR è una newsletter di RADAR Magazine. È curata da Anna Violato, giornalista ambientale e divulgatrice scientifica, che ha una passione per i pacchi regalo fatti con materiali di recupero.
I nostri articoli e le newsletter sono gratuite, perché pensiamo che l’informazione di qualità debba essere accessibile a chiunque - non solo a chi se la può permettere. Per aiutarci a rimanere indipendenti e liberi, sostienici con una donazione.